IL GIOCO NELLA DISABILITA'

 Giocare è un diritto di tutti, ma diventa un problema quando difficoltà di movimento, di coordinamento, di vista, di udito affliggono una persona. Già nei gesti della vita quotidiana, una persona disabile deve faticosamente imparare passo dopo passo tutti i meccanismi e nel gioco questa disabilità rischia di negare questo diritto perché numerosi giochi sono pensati come giochi per normodotati.

Eppure le esperienze degli ultimi anni, in particolare quelle ospedaliere, hanno messo al centro il gioco come strumento per ritrovare equilibri affettivi (es. nella condizione ospedaliera) e di apprendimento (es. software per dislessici e disgrafici).
Il gioco si è confermato come strumento privilegiato per esperienze piacevoli e divertenti che permette ai partecipanti di risolvere situazioni apparentemente compromesse.
Insegnare appropriate abilità di gioco significa allora offrire alla persona con disabilità l’opportunità di fruire del proprio tempo libero in modo creativo e costruttivo; significa permettergli di esercitare quelle funzioni fisiche e cognitive; significa, infine, compiere un ulteriore passo avanti sulla strada dell’integrazione sociale e dello sviluppo personale. Contrariamente, con l’assenza di comportamenti ludici, vengono meno un gran numero di occasioni di apprendimento ed integrazione sociale.
In virtù di questo suo ruolo di facilitatore dell’apprendimento, il gioco proposto  deve essere semplificato, a seconda della disabilità del bambino.
Per un bambino disabile, giocare infatti significa
  1.  sviluppare il linguaggio (es. sviluppare l’espressione verbale che ricorre in alcuni giochi da tavolo);
  2.  promuovere le conoscenze, l’autonomia e lo sviluppo cognitivo (attraverso l’opportunità che il gioco offre di manipolare la realtà e di esplorare il mondo delle possibilità);
  3.  crescita affettiva (tramite la possibilità di sperimentare nuove forme di relazione nei giochi di ruolo).
  4.  costruire la propria identità personale e sociale.
Nel caso ci dovessimo trovare a proporre dei giochi ai disabili dobbiamo sempre considerare le specifiche difficoltà mostrate dai soggetti di fronte alla possibilità di svolgere attività ludico-ricreative in modo autonomo e costruttivo.
In generale la progettazione dei giochi deve tenere conto di alcune situazioni tipiche della disabilità che influenzano la scelte didattico/educative/terapeutiche:
  •  può essere presente una limitata esplorazione spontanea dell’ambiente (funzione di veglia), che costituisce invece il primo stadio nello sviluppo delle abilità di gioco nei bambini;
  •  possono comparire azioni ripetitive e inappropriate rispetto agli oggetti. Gli stessi giocattoli sono spesso inglobati in comportamenti stereotipati (es., battere per terra) non adeguati alla loro funzione;
  •  i deficit dello sviluppo psicomotorio, le limitate capacità di memoria e di autogestione, l’eccessiva instabilità emotiva (dovuta, spesso, a una scarsa tolleranza per le situazioni frustranti) interferiscono enormemente con la possibilità di sviluppare un adeguato repertorio di abilità ricreative;
  •  i gravi ritardi intellettivi e linguistici impediscono l’utilizzo del gioco simbolico, essenziale per lo sviluppo cognitivo;
  •  nei casi più gravi si osserva infine una mancanza, parziale o totale, di imitazione e di partecipazione attiva. Ciò impedisce che si verifichino quelle forme di apprendimento per modellamento che sono tipiche nell’interazione tra bambini.