LA PSICOMOTRICITA'


















 
 
 






                                  PSICOMOTRICITA'
 A SCUOLA
Il movimento rappresenta per il bambino "nutrimento" naturale per la sua crescita e il suo sviluppo.Il bambino "pensa", conosce, scopre, sperimenti attraverso il fare.
La psicomotricità  rappresenta un modo di utilizzare il 
 
movimento per lo sviluppo degli apprendimenti del bambino.

 


 








Riferimenti storici e scientifici della psicomotricità [1]
La psicomotricità è nata nei centri di neuro-psichiatria infantile sotto il nome di rieducazione psicomotoria. Molti studiosi misero in evidenza che il trattamento delle malattie dette mentali passava per il corpo e i suoi movimenti.
La nosologia psichiatrica arriva ad isolare turbe e sindromi dette psicomotorie.
Duprè tra il 1909 ed il 1913 studia quella che definisce debilitè motrice nella quale si raggruppano stati di squilibrio motorio imputabili a sincinesie, paratonie, risposte maldestre, in soggetti giovani.
La debilitè motrice di Duprè non si presenta isolata come sintomo ma si associa spesso a deficit intellettivi; anzi si evidenzia a livello clinico che in tutti i casi di insufficienza mentale sono pressoché sempre presenti disturbi a livello motorio.
Venne quindi coniato il termine di debilitè psychomotrice.
Dopo il 1930 ha origine una fervida ricerca sulle origini di questi disturbi psicomotori, sul modo di identificarli e rieducarli.
Ci si avvale di tests per l’analisi sintomatica: si creano tests di performance, tests che tendono a determinare un’età motoria (per es. Ozeretski), tests per determinare l’evoluzione dello schema corporeo (per es. Bergès-Lezine), prove per stabilire un profilo psicomotorio, ecc..
La concezione rimane ancorata alla rieducazione psicomotoria, mira pertanto a “correggere” con ideazione di tecniche , i disturbi messi in evidenza dai tests.
La psicanalisi arriva a moderare questa concezione strumentale mettendo in evidenza l’importanza del problema oggettivo dei bambini che hanno dei disturbi psicomotori: si osserva infatti che una gran parte dei essi presentano immaturità affettiva e mediocre integrazione sociale.
Pertanto nella seconda metà del secolo la rieducazione psicomotoria si orienta maggiormente verso una “terapia psicomotoria” privilegiando una dimensione relazionale e abbandonando gli obbiettivi educativi e riabilitativi.
Fra le due concezioni quella funzionale ed affettiva non si trova un giusto equilibrio infatti c’è una tale interdipendenza fra l’affettivo e il relazionale che non si può fare una netta distinzione.
Fra queste due opposte concezioni si fa strada una nuova corrente educativa quella di Jean Le Boulch che considera la persona nella sua globalità.
Già dal 1960 viene messo in evidenza come tramite la pratica del lavoro  corporeo sia possibile coinvolgere sistemi funzionali diversi:
  •  Il sistema muscolare e quello di nutrizione che influenzano il rendimento motorio.
  •  Il sistema Nervoso Centrale che coordina l’insieme degli altri sistemi che nel contempo il supporto delle funzioni mentali (cognitive ed energetico affettive ).
Riglobalizzata la persona nei suoi aspetti psicomotori e mentali, intorno al 1970 viene proposta una chiara distinzione fra;

Educazione psicomotoria: formazione di base indispensabile a tutti i bambini sia normali che in situazioni di handicap; essa risponde a una doppia necessità in quanto assicura lo sviluppo funzionale tenendo conto  delle possibilità del bambino e aiuta la sua affettività a manifestarsi ed a equilibrarsi tramite lo scambio con il proprio ambiente umano.

Terapia psicomotoria:Tratta tutti i casi problema nei quali la dimensione affettiva o relazionale sembrerebbe dominante nell’instaurarsi del disturbo; può essere associata alla educazione psicomotoria o prolungarsi con essa .

Rieducazione psicomotoria: Questa si impone  nei casi  in cui il deficit strumentale predomina ,con il rischio di innescare secondariamente problemi relazionali. Questa è la concezione generale di educazione psicomotoria che tiene conto del livello reale di sviluppo della persona e che poggia sulla conoscenza delle tappe del suo sviluppo.

 Educare con il movimento le basi scientifiche nella a teoria dell’equilibrio di Piaget

L’educazione attraverso il movimento in psicomotricità funzionale si basa su dei principi scientifici  quali:
Lo sviluppo della persona non è collegato solamente a un programma genetico ben definito, ma dipende anche da come il soggetto si adatta al suo ambiente e da che tipo di scambi stabilisce con esso.
E’ Piaget che per primo mette in correlazione lo sviluppo del gioco con quello mentale, affermando che il gioco è lo strumento primario per lo studio del processo cognitivo del bambino. Egli afferma che lo sviluppo cognitivo del fanciullo passa attraverso due processi: l’assimilazione e l’accomodamento.
L'assimilazione è un processo per cui un elemento proveniente dall'ambiente esterno viene inserito in schemi mentali già preesistenti, senza che l'esperienza cambi tali schemi. Ad esempio un bambino piccolo avrà imparato a battere un bastoncino sul tavolo o su altre superfici, batterà allo stesso modo qualsiasi oggetto che si troverà in mano. Ogni oggetto viene inserito nello schema "battere ritmicamente".
L'accomodamento è un processo in cui i dati della nuova esperienza modificano gli schemi già posseduti. Il bambino che ha imparato a battere ritmicamente un oggetto, avendo a disposizione una pallina può inserirla nello schema "battere ritmicamente", poi scoprirà che può rotolare, creando una nuova categoria "oggetti che rotolano”.
Il movimento e il linguaggio sono due mezzi privilegiati del processo di accomodamento.
Il bambino si presenta al gioco attraverso l’imitazione differita, cominciano a imitare qualcosa che l’adulto fa più o meno abitualmente, Si passerà poi alle fasi del gioco simbolico, il classico: “ far finta di…”, via libera qui a travestimenti di ogni tipo, spesso il contesto è molto fantasioso.
Verso i 2-3 anni però si sviluppa il fenomeno dell’egocentrismo intellettuale, ovvero non concepisce l’altro ed il suo punto di vista pur avendolo vicino come compagno di gioco, Dal punto di vista motorio il bambino comincia a maturare alcuni comportamenti motori di una certa complessità: il comportamento locomotorio, ovvero si parte da un movimento semplice come il camminare per arrivare alla corsa, salti a balzi, calciare una palla, farla rimbalzare, ai comportamenti manipolativi, quindi un maggiore controllo della mano, ad una maggiore sviluppo della dominanza.
Sicuramente il gioco, per le caratteristiche ampiamente descritte, stimola lo sviluppo intellettivo: memoria, attenzione, concentrazione, acquisizione di schemi percettivi, capacità di confronto, relazioni sono alcuni ambiti che senza attività ludica si manifestano con gravi carenze nel bambino.
Abbiamo già accennato, sempre con Piaget, che lo sviluppo cognitivo è individuabile attraverso tre stadi di comportamento ludico: i giochi di esercizio, quelli simbolici e quelli con le regole.
Il movimento ha una funzione espressiva e di comunicazione nella relazione con l’ambiente (funzione semiotica)
In “De l’actè a la pensee” H.Vallon sottolinea come a partire dalla nascita l’interazione tra il bambino e il mondo avvenga  attraverso il dialogo tonico-emozionale.
Più tardi, le reazioni gestuali e mimiche , gli atteggiamenti corporei, prima spontanei e poi controllati, traducono il modo  essere della persona in presenza degli altri.
La funzione prassica del movimento riguarda  invece la possibilità di agire efficacemente sugli oggetti e il mondo materiale  attraverso l’acquisizione di coordinazioni adatte.
Questa funzione è collegata alle funzioni cognitive mentre la funzione semeiotica del movimento rappresenta il collegamento tra l’affettivo e il cognitivo.

La psicoanalisi, con il pensiero di Freud e Winnicott

Dal 1960, la psicoanalisi ha assunto un posto importante tra i riferimenti scientifici della psicomotricità funzionale ,per il contributo riguardo allo sviluppo affettivo e per lo studio dei processi inconsci dell’io. In particolare il pensiero di Freud, in quanto sviluppa il concetto di io corporeo come base della costruzione dell’identità, Freud osservò che le prime grandi conquiste culturali e psicologiche infantili avvengono tramite il gioco. Il gioco è infatti il linguaggio con cui il bambino esprime se stesso.
Secondo Winnicott il gioco è il ponte di passaggio dalla dipendenza all’autonomia ed è il mezzo che permette l’instaurazione di soddisfacenti rapporti affettivi con altre persone, sostitutive, della figura materna.

I riferimenti biologici[2]

Il movimento che è il supporto della nostra azione, interviene sull’insieme delle funzioni organiche, ma ha un effetto privilegiato sul sistema nervoso centrale  (SNC). Il muscolo infatti non è solamente  l’organo del movimento, ma è anche un organo di senso che manda continuamente al corpo informazioni propriocettive fondamentali per la organizzazione dello schema corporeo.
Il SNC secondo le ultime scoperte è considerato un canale di comunicazione la cui efficienza dipende dal numero e dall’organizzazione delle sinapsi che si vengono ad attivare. Alla nostra nascita il numero delle sinapsi disponibili è notevole e a seconda della relazione che si instaura con l’ambiente esterno  alcune di esse si rafforzano e altre scompaiono (teoria dell’epigenesi di Changeux, 1992).
Questa teoria conferisce al movimento un ruolo basilare nell’organizzazione funzionale del SNC. La complementarità delle diverse informazioni,esterne ed interne , integrazione sensoriale e strutturazione percettiva, va a strutturare le risposte motorie e le acquisizioni motorie. Pensiero e movimento hanno sede entrambe nel SNC, ecco parchè questi procedimenti comuni spiegano la possibilità di intervenire attraverso il movimento sui processi cognitivi e viceversa.
Il SNC ha la capacità di riprodurre risposte già acquisite oppure di elaborarne di nuove. Inoltre ha due proprietà la rigidità delle strutture e la plasticità delle risposte agli stimoli ambientali.
I conduttori nervosi sono determinati per trasmettere le informazioni su itinerari prestabiliti geneticamente,ma essa viene bilanciata dalla plasticità neurofisiologica dei “punti nodali” del sistema che possono inviare informazioni ovunque e creare collegamenti continui. Il funzionamento di questi punti nodali non è determinato geneticamente ma è influenzato dalla quantità e dalla qualità delle stimolazioni ambientali. Il processo educativo può mantenere e sviluppare la plasticità di queste zone (allenando e facilitando la possibilità di trovare diversi tipi di risposte alla medesima domanda), oppure può ridurlo (dando sempre la stessa risposta a una situazione).

Le funzioni psicomotorie

Lo studio della neurofisiologia del SNC. di Lurida (1977) per il campo neurologico e di Le Boulch (1975) per quello psicomotorio portano all’individuazione delle seguenti funzioni psicomotorie:
Funzione di veglia o vigilanza mentale che è la capacità di prestare attenzione  in modo generale o specifico.
Funzione di aggiustamento o di integrazione sensoriale che corrisponde alla capacità  di realizzare una risposta motoria  intenzionale.
Funzione di percezione  o funzione gnosica che è la capacità di prendere coscienza delle informazioni sensoriali esterocettive e propriocettive.


[1] Tratto dalle dispense dell’Università di Pavia del corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva della  professoressa Dionigi.
[2] Tratto da: La valutazione psicomotoria di Marina Massenz ed Elena Simonetta (pag.11-20)


 

LA FUNZIONE DELLO PSICOMOTRICISTA

Il lavoro dello psicomotricista : aiutare il bambino, e poi l’essere umano nelle diverse fasi della vita, ad utilizzare le diverse risorse per sviluppare al meglio le proprie capacità, ognuno in un proprio modo e con caratteristiche proprie.  Aiuta l’identità a formarsi, a collaudarsi, a rinforzarsi, sostenendola nella sua natura plurima(intellettuale-emozionale-affettiva e motoria), non attraverso esercizi settoriali (come in didattica, in logopedia, neuropsicologia) o di tipo prettamente motorio (come in educazione fisica, in fisioterapia, in rieducazione neuromotoria), né attraverso esperienze prettamente relazionali (come in psicoterapia), bensì attraverso un’attività spontanea e completa come il gioco o attività similari, che per loro stessa struttura permettono di integrare la percezione di sé, il movimento, le rappresentazioni simboliche e il vissuto emozionale. “si usano le risorse del gioco e pertanto si offre al bambino la possibilità di esprimersi liberamente e spontaneamente tramite la via dell'azione e del gioco in un periodo in cui per lui pensare è pensare l'agire…”.L’intervento psicomotorio, favorendo l’integrazione di funzioni non o parzialmente elaborate, ha una spiccata connotazione preventiva: favorisce le condizioni per cui il bambino può crescere senza sperimentare o prolungare quelle situazioni di difficoltà e di disagio che sfociano poi nel disadattamento, nel disturbo (psico-affettivo o cognitivo) o nella patologia.L’intervento psicomotorio ha una funzione di promozione del benessere e della salute, di prevenzione della difficoltà e del disturbo o della patologia, di aiuto nella patologia in senso risolutivo o migliorativo, coadiuvante di altre terapie.Per queste sue funzioni la figura dello psicomotricista, pur mantenendo una specificità professionale, che è evidenziata anche nelle caratteristiche della sua formazione, si colloca pienamente in primo luogo nell’ambito dell'aiuto allo sviluppo  delle potenzialità e della crescita personale. Questo lo pone naturalmente in relazione con l'ambito educativo e scolastico e successivamente, ove si siano strutturate delle difficoltà, anche con i servizi socio-sanitari ed assistenziali.Gli obiettivi di aiuto alla crescita sono comuni tra psicomotricisti, educatori ed insegnanti, ma le funzioni si differenziano per presupposti e per modalità. Molto spesso si rivelano figure complementari. Così come altre figure specialistiche: istruttori, insegnanti di educazione fisica, di lingue straniere, di musica, di teatro, che completano il lavoro didattico dell’insegnante.Lo psicomotricista è una figura alleata alla persona, in ascolto del suo essere, accogliente e sostenente, favorente la ricerca del bambino delle sue modalità di relazione e di comprensione del suo mondo interno (fantasie, paure, angosce,desideri, ecc.) ed esterno (rapporto con gli oggetti reali, gli altri, ecc.) e nella costruzione di quelle funzioni mentali che sono di base alla capacità di apprendere dalla propria esperienza. Lo psicomotricista accompagna nel percorso senza valutazionie richieste di risultato o di prestazione. Quindi lo psicomotricista non educa e non insegna. Quello che per il mondo dell'educazione è uno scolaro, un allievo, un discente, per lo psicomotricista è una persona con cui cercare una modalità di relazione che permetta uno scambio significativo per entrambi.Gli obiettivi di aiuto alla crescita possono essere simili tra psicomotricista e terapisti dell'ambito sanitario (fisioterapisti, logopedisti, terapisti della neuro e psicomotricità), ma le funzioni si differenziano per presupposti e per tecnica, perché lo psicomotricista non si pone in relazione con la parte malata, ma al contrario si relaziona con la persona intera che ha anche una sua parte malata e aiuta la scoperta e la valorizzazione delle parti sane e delle capacità e delle potenzialità del bambino come dell'adulto.

Lo psicomotricista non riabilita e non "cura", opera come catalizzatore di un processo che ha come protagonista quello che nella sanità è definito "paziente" o "utente", con una connotazione eminentemente passiva. L'obiettivo è la crescita delle capacità e delle autonomie. Anche le strategie per ovviare i limiti dati dalla parte "malata" è importante che siano scoperte e conquiste della persona stessa e non protesi inserite dal tecnico.


Tratto da un'articolo della Dottoressa Elena Zitoli Psicomotrista
sito internet http://www.sociale.siamoroma.it/